L'ufficio corale: l'opera del predicatore

Il nome ufficiale dell'Ordine Domenicano è “Ordine dei Predicatori”. Abbracciamo la vita apostolica, possedendo solo i beni materiali in comune, e ci dedichiamo alla predicazione della Parola. La mancanza di beni privati, oltre a servire come mezzo di distacco da questa vita per crescere nell'amore di Dio (suo scopo primario), ci dà anche la libertà per la predicazione e lo studio; dopo tutto, pagare le bollette, fare la spesa e lavare l'auto richiede tempo.

Eppure l’Ordine, dalla sua fondazione nel 1216 ad oggi, si è vincolato legislativamente a quello che chiamiamo “ufficio corale”. Questa pratica risale nella storia cristiana ai Padri del deserto, che a partire dal IV secolo (quando le persecuzioni dell'Impero Romano si placarono) si recarono nel deserto per cercare Dio e iniziarono a cantare il Libro dei Salmi in lode di Dio. In effetti, lo vediamo nell'esempio di Pietro e Giovanni che vanno al Tempio di Gerusalemme durante le ore di preghiera pubblica (Atti 4), e anche nel ritorno alla riforma liturgica del re Davide quando porta l'Arca dell'Alleanza a Gerusalemme. (vedi 3 Cron 1).

La pratica tradizionale domenicana era parallela alla tradizione monastica: i frati si riunivano sei volte al giorno e una volta a mezzanotte, trascorrendo un totale di almeno cinque ore (probabilmente di più, soprattutto nelle feste principali) cantando i Salmi nella nostra caratteristica versione di toni gregoriani e melodie. Anche quei fratelli dispensati da gran parte della recitazione comune per motivi di studio e predicazione (San Tommaso d'Aquino, per esempio) si riunivano in piccoli gruppi per recitare queste preghiere più rapidamente, per un totale probabilmente di tre ore al giorno. Sebbene l’Ordine abbia adottato la Liturgia delle Ore Romana molto più breve alla fine degli anni ’1960, trascorriamo ancora una parte significativa della nostra giornata cantando i Salmi in lode di Dio. Quindi possiamo chiederci: se la nostra missione è la predicazione, allora perché preoccuparci di cantare?

Ci sarebbe molto da dire, ma mi limiterò ad una riflessione di un domenicano francese, Humbert Clerissac, OP

L'Apostolo, il predicatore, è innanzitutto l'uomo di Dio; la sua testimonianza deve provenire, in un modo o nell'altro, dalla sua esperienza personale di Dio. È l'uomo del Monte Sinai e del Santo dei Santi: il santuario e il coro sono per lui il suo Sinai e il suo Santo dei Santi. Tutta la sua vita è regolata dal servizio che lì deve rendere, e coloro ai quali è inviato devono vedere sulla sua fronte il segno che è consacrato e fa parte della famiglia di Dio.

Humbert Clérissac, Lo Spirito di San Domenico, Edizione Cluny Media (Providence, RI: Cluny Media, 2015), 63.

C'è un vecchio detto scolastico: nessuno dà ciò che non ha. Se il predicatore non conosce la Parola, la Sapienza unigenita del Padre, sia nelle sue parole che nel suo modo di vivere, allora non ha nulla da dare a un mondo che muore per bere da quella fonte di acqua viva.

E cosa cerchiamo nel coro? Nient'altro che la gloria e la lode di Dio, dello Spirito Santo e della Fonte della Vita.


fr. Kevin Peter Cantù, OP | Incontra i fratelli in formazione QUI